Riflessi di me: Soofiya e l’autorappresentazione
L’artista ed educatrice Soofiya esplora i temi del genere e dell’identità.
MOO ha incontrato Soofiya, artista, educatrice e tutor di Friday Night Sketch, per parlare dei suoi coloratissimi lavori sul tema dell’identità e le ha chiesto consigli per i designer appena laureati.
Soofiya è un’artista visuale inglese che realizza vivaci illustrazioni, originali installazioni e laboratori educativi pensati per avviare un dialogo sui temi del genere, dell’identità e della razza.
Soofiya ha studiato design grafico alla Ravensbourne University di North Greenwich e ora insegna arte e design, e realizza lavori per spazi artistici come le gallerie Tate, il museo V&A e il centro artistico del Barbican.
Dopo aver tenuto un laboratorio della serie Friday Night Sketch al Design Museum sul tema “Mappatura della memoria”, Soofiya ha parlato con MOO di visibilità, auto accettazione e dei vantaggi insiti nella creazione di un “impero nella propria camera”.
Parlaci del tuo background e di come hai iniziato a lavorare nel design.
Vivo nella casa dove sono cresciuta con i miei genitori, che vengono dal Pakistan. Ho avuto parecchie difficoltà a scuola e al college, ma il design grafico mi ha cambiato radicalmente la vita. Infatti, quando tornavo a casa mettevo le cuffie e disegnavo. Il mondo non esisteva e c’ero solo io che creavo. Potevo creare montagne e muoverle, potevo fare qualunque cosa.
Nella vita mi sentivo così impotente che il fatto di acquisire potere grazie all’arte ha rappresentato una svolta per me, ed è questo concetto che cerco di trasmettere quando insegno. Se riesco a trasmettere agli altri anche solo una piccola parte di quella sensazione, il mio lavoro è fatto.
Come ha influenzato il tuo lavoro la tua percezione identitaria?
Quando ero più giovane, non vedevo nessuno come me nel mio mondo, una ragazza dalla pelle scura, pelosa e visibilmente non conforme, e questa può essere una posizione molto difficile in cui trovarsi. Se non ti vedi nel mondo, come fai a sapere che esisti? Come fai a capire se c’è posto per te?
Se c’è una cosa che non capisco o che mi rende triste, ci costruisco attorno un progetto e così cerco di esplorarla. Negli ultimi due anni, ho usato il mio lavoro per approfondire i concetti di identità, razza, genere e immigrazione.
Non ho neanche mai avuto un insegnante come me, ed è per questo che ho deciso di insegnare. Attraverso l’insegnamento, posso essere per gli altri la persona di cui avrei avuto bisogno io, la persona che avrei voluto vedermi accanto.
Nei tuoi lavori appare spesso il personaggio “Soof the Floof”. Puoi spiegarci come è nato?
Soof The Floof è una massa informe gelatinosa senza genere. Durante un corso estivo alla Tate, ci hanno dato un pezzo di argilla e ci hanno chiesto di farne ciò che volevamo. Mi chiedevo come potevo rappresentare me stessa e le parti di me che mi mettono a disagio, come il mio peso e la mia peluria.
Quindi ho creato un oggetto che rappresentasse tutto questo ma che, sebbene rappresentasse parti di me che non mi piacciono, fosse simpatico. È impossibile odiare Soof the Floof.
Un aspetto del mio lavoro che ho voluto sviluppare è il valore terapeutico del design, e Soof the Floof è diventato un mezzo per parlare di argomenti problematici, come il genere e la razza, in modo giocoso e accessibile. Nei seminari chiedo alle persone di realizzare i loro Floof; è un ottimo modo di coinvolgerle nella discussione.
Di quale progetto tra quelli realizzati finora sei più fiera?
L’anno scorso, ho tenuto una mostra intitolata Soof in Private. Ho condiviso su una parete la mia cronologia delle ricerche su Google, i miei messaggi privati su un’altra, e su entrambe i miei account di Instagram, quello pubblico e quello privato.
Tra le due parti si è instaurato un dialogo che sul cellulare non è possibile; inoltre, quando queste realtà sono l’una accanto all’altra sulle pareti, si nota come l’identità può essere facilmente divisa in compartimenti.
L’identità svolge un ruolo importante nell’arte, perché l’artista può diventare uno specchio del mondo, consentendo alle persone che hanno qualcosa in comune con te, ad esempio, un approccio simile al genere o un background simile, di vedersi riflesse in quello che fai. Penso sia positivo sentirsi visti e osservare gli altri.
Com’è il tuo spazio di lavoro?
Io lavoro nella mia camera da letto. Lavorare come freelance mi fa un po’ paura per la precarietà, ma è anche stimolante ed entusiasmante, e io amo l’idea di avere un impero in camera mia.
È un legame rassicurante che mi ha aperto numerose opportunità in quanto mi è più facile spostarmi per andare a Londra o a Leicester per lavoro sapendo che ho una base dove tornare.
Siamo fortunati a vivere nell’era digitale della mobilità e io ho imparato ad affidarmi alla tecnologia. Spesso i designer presumono che serva uno studio per lavorare, ma ognuno può fare le cose a modo proprio, e io al momento adoro partecipare alle riunioni in pigiama. Sento di essere arrivata nella vita se posso fare una telefonata con in mano una tazza di cereali.
Qual è il tuo consiglio principale per i giovani designer?
Fate quello che amate, ma guadagnatevi anche da vivere. È impegnativo ma non perdete di vista il motivo per cui fate tutto questo. Per molto tempo mi sono occupata di tipografia e branding aziendale, senza fare illustrazione. Ero felice di fare design grafico, perché è la mia passione, ma ambivo ad essere entusiasta delle cose che facevo.
Non succede a ogni progetto, ma questo è comprensibile, e non è sempre tutto divertente: il 90% del tempo passa tra email, riunioni e fatture. Ma quel 10%? Beh, dà senso a tutto il resto. Il cervello va a 100 km l’ora e senti scorrere l’adrenalina… È fantastico. Il mio consiglio è trovare quello che vi entusiasma e fare tutto il possibile per dedicarvici completamente.
Infine, seguite l’istinto, perché sa benissimo dove volete andare, ma con un approccio strategico. Programmate con qualche mese in anticipo e poi riflettete e valutate regolarmente la situazione per capire a che punto siete.
Hai fatto da tutor a Friday Night Sketch sul tema Mappatura della memoria. Che cosa significa per te questo tema?
Se penso alla mia vita, immagino degli spilli su una bacheca di sughero che collegano su una grande cartina tutto quello che faccio, dal lavoro ai momenti di socializzazione. Per capire le cose, ho bisogno di vederle e ritengo che una mappa della memoria sia perfetta a questo fine.
Serve a trasferire i pensieri più impegnativi dal cervello alla pagina, per chiarirsi le idee e tracciare dei percorsi. Con una cartina in mano ci si può sentire a casa ovunque nel mondo.
I nostri suggerimenti ti hanno ispirato? Scopri come l’illustratrice Erin Aniker ha approfondito i temi della patria e dell’identità per Friday Night Sketch.
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